Fine di Aprile del 2008, giunge l’ennesima notizia di prodotti alimentari italiani non conformi alla loro natura.
Dopo la mozzarella di bufala a rischio diossina, ed il vino che per due terzi conterrebbe acqua, fertilizzanti e persino acido cloridrico, arriva il turno dell’olio di oliva (con l’extra-verginità perduta!).
I Carabinieri del Nucleo antisofisticazioni (Nas) di Bari, con il coordinamento della Procura del Tribunale di Foggia, hanno scoperto un giro di olio venduto come “extravergine” mentre in realtà si trattava di un prodotto miscelato con semi di soia, anche geneticamente modificati, e/o di girasole, con betacarotene e clorofilla industriale.
Sono state arrestate 39 persone in tutta Italia, sequestrati 7 oleifici ed oltre 25mila litri del condimento falsificato. Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle province di Foggia (26), Milano (5), Napoli (2), Brindisi, Campobasso, Latina, Salerno, Bari e Varese.
Secondo quanto riferito dal procuratore della Repubblica di Foggia , le indagini sono partite grazie alle segnalazioni di alcune ditte che autonomamente hanno fatto controllare partite di olio, constatando che era olio di semi trattato con clorofilla e betacarotene. Di per sè il prodotto non era dannoso per la salute pubblica, ma per le modalità e i luoghi di confezionamento, che non erano controllati ed erano in condizioni igieniche scadenti, poteva diventare nocivo alla salute.
Oltre a bloccare questo traffico di olio illecito, gli accertamenti dei carabinieri del Nas hanno sicuramente avuto il merito di bloccare l’attività di esportazione di un prodotto contraffatto (destinato agli USA) che avrebbe rappresentato un durissimo colpo per l’immagine e per l’economia del nostro Paese.
Soddisfatti tutti i produttori onesti, mentre la Coldiretti e Unaprol sottolineano l’importanza dell’etichetta, già obbligatoria, per indicare la provenienza delle olive.
Coldiretti sottolinea ancora una volta l’importanza di estendere i controlli sull’etichetta in quanto sono ancora troppo poche le confezioni in regola. Ed ancora, riallacciandosi alle discussioni sul decreto provenienza delle olive in etichetta, sostiene che bisognerebbe evitare che la metà dell’olio venduto sul territorio nazionale sia spacciato per made in Italy, anche se spremuto con olive spagnole, greche e tunisine.